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Il pulinèr e il sogno del Grande Nord

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La Giornata internazionale della montagna evoca tante cose, anche quella dimensione della libertà di cui si può ancora fare esperienza negli ambienti montani salendo i boschi che cingono i monti, attraversando le praterie alpine, arrampicando fin su alle magnifiche vette.

E quindi Colli, Appennini, Prealpi, Alpi: quell’elevazione che abbiamo più vicina a noi e che ci piace raggiungere come ultima frontiera, come piccolo spazio selvatico per una gita, una camminata, un’esperienza.

La bussola di questa aspirazione, di questo desiderio, punta al Grande Nord di cui Jack London ci ha fatto innamorare quando eravamo ragazzini e pure adesso, che siamo invecchiati, quell’anelito, ci sembra ancora qualcosa di puro. Forse anche per questo la famiglia che ha deciso di vivere nei boschi d’Abruzzo – padre, madre con tre figli minori – ha suscitato un dibattito così acceso, quasi un tifo da stadio che vedeva la legge e le convenzioni sociali contrapposte alla libertà individuale e al diritto all’autodeterminazione delle persone. Pensando a questo, e a una certa montagna, mi è tornata in mente una casa nel bosco. Sta in cima a un colle ripidissimo nella valle dove sono nato, nel cuore delle Prealpi venete, a pochi chilometri dalla foresta del Cansiglio: la terra carsica che vede l’incontro delle province di Belluno, Treviso e Pordenone.saviane.jpg

Prati ripidi in Valturcana, Alpago (BL)

Si tratta di un piccolo edificio di pietra arenaria che, illuminato dal sole, assume le tante tonalità dell’ocra. La casa resiste in piedi da più di un secolo, su una terra votata allo smottamento, che solo la buona sorte e la tenacia di uomini e donne ha “tenuto su” con muri a secco, canalette, lavoro nel bosco e nei prati circostanti.

Però non è una casa per le persone, ma un pulinèr, un pollaio, una casa per le galline con tanto di aia, che un tempo era recintata. Più di un secolo fa hanno scelto proprio quel posto, vicino al sentiero che portava in alto, hanno portato le pietre, anche con l’aiuto dei ragazzini, e scavato la fondazione a pala e piccone. Le pietre più belle, squadrate e grandi – che nessuno mai più vedrà – sono state posate dentro lo scavo e poi su, con il filo a piombo e l’òcio, quel colpo d’occhio che decide d’istinto, quasi senza riflettere, dove posare la pietra giusta nella costruzione del muro a secco, quindi senza calce, cemento, verghe di ferro. Quattro pareti, una porta, un paio di finestre, e su fino al tetto fatto con lastre di pietra: una massa straordinaria che poggia su una leggera trave di colmo, mentre il grande peso grava sulle pareti e sulle fondazioni.

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Pulinèr, pollaio, in Valturcana

E allora, quando partecipiamo alle discussioni sulla libertà e sul mondo selvatico, pensiamo che c’è stato un tempo in cui la bellezza, la solidità, la cura – figlie della fatica – erano un tutt’uno con l’appartenenza a un luogo e le cose erano costruite per durare oltre chi le aveva edificate: a quel tempo i pollai somigliavano alle case, non il contrario.

Questo non era un estetismo, una bizzarria, ma un lavoro pieno di dignità e pudore: oggi mi piace pensare che i costruttori del pulinèr non l’abbiano fatto solo per loro stessi, ma pensando anche alle persone che passavano lassù, lungo il sentiero. E chissà, forse a Jack London sarebbe piaciuta questa cultura millenaria della pietra, quieta e solida, sulla via del Grande Nord, il sogno cui tutti abbiamo diritto.

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Pulinèr, una casa nel bosco

L'articolo è stato pubblicato in occasione della Giornata Internazionale della Montagna (11.12.2025) sulla pagina Cultura&Società dei quotidiani NEM: Mattino di Padova, Tribuna di Treviso, Nuova di Venezia e Mestre, Corriere delle Alpi, Messaggero Veneto, Piccolo di Trieste.

 

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