intervista allo scrittore

   Racconto, Horror Magazine, 2005

    – Ehi cazzone, ma perché scrivi?
    – Perché a volte sono ispirato.
    – Sei che?
    – Sono ispirato, sento dentro questa cosa che deve uscire. Alle volte mi devo alzare la notte.
    – Non raccontare balle dai, siamo tra amici. Puoi anche dire la verità, tanto ti paghiamo uguale!
    – La verità. Vuoi saperla tutta? Alle volte non mi piace il mondo. Non mi piace per niente e allora la rabbia e lo sdegno, insomma m’incazzo e scrivo.
    – Ma va là cazzone. Non vorrai darla a bere a me, vero?
    – Sai una cosa? Non mi va di stare qui a dire a te perché scrivo.
    – Sì che ti va, eccome. Siete tutti uguali voi scrittori. Vi piace che qualcuno vi chieda qualcosa su quello che scrivete. Tu per esempio, quando mai qualcuno ti ha chiesto un parere? E poi ti piace dire la tua e chiacchierare, dai che ti piace.

    – Ma tu sei un specie di critico? Uno di quelli che sputano sentenze sulle cose che scrivono gli altri?
    – Dai cazzone, non rigirare la frittata. Pace?
    – Okay, pace.
    – Allora dimmi perché scrivi, ma lasciamo fuori l’ispirazione, l’indignazione e anche il risentimento verso il mondo. Dimmi veramente perché ti dai la briga di scrivere.
    – Vorrei fare una cosa, una cosa che mi riesca bene.
   – Dai cazzone che stai andando meglio. Sai che mi piaci?
   – Poi quando scrivo, inizio e finisco una storia. Mi piace più di tutto cominciare e finire e ricominciare.
   – Ahi ahi cazzone, vuoi dirmi che scrivi contro la morte? E non ti vergogni?
   – Sì. Anche quand’ero piccolo mi vergognavo di un sacco di cose e allora i grandi mi strattonavano di qua e di là.
   – Che rottura…
   – Sì, uno scassamento di palle continuo, però sembrava che tutte le cose fossero importanti, che fregasse davvero a qualcuno quello che facevo.
   – Uno scrittore deve avere un’infanzia felice?
   – Non so se era un’infanzia felice. Ma tutto cominciava ogni mattina e finiva entro sera e poi dormivo come un sasso. Tutta una tirata dalle otto di sera alle sei di mattina. Adesso mi pare fosse una bella vita.
   – Dimmi della scrittura contro la morte, cazzone.
   – E se te lo scrivo?
   – Ma allora è proprio un vizio il tuo.
   – Sai che ogni tanto ho proprio il sospetto che non faccia bene?
   – Ti fa male la schiena o i cervicali a stare seduto?
   – Scrivere mi allontana dalle persone.
   – Ho porca puttana, la butti sul tragico cazzone!
   – Perché continui a chiamarmi così?
   – Che permaloso che sei, è solo un nomignolo per dare un po’ di brio all’intervista. Userai pure uno pseudonimo, no?
   – Non certo cazzone.
   – D’accordo, basta cazzone. Pace?
  – Pace. Forse quando scrivo vorrei che mia madre fosse contenta di me, e invece... Lo sai che le ho letto l’ultimo racconto che ho pubblicato e lei mi ha detto che è pieno di porcherie e parolacce? Cazzo! Ma tutti dicono parolacce e la vita è piena di porcherie. Io vorrei fare una scrittura vera, che parli della vita.
   – Cazzo è più vero di accidenti?
   – Nessuno dice accidenti dopo i cinque anni d’età!
   – Anche questo è vero. Allora tu scrivi per tua madre?
   – No, non solo per lei. Forse mi piacerebbe… Vedi, quand’ero bambino le cose che facevo interessavano a tutti: ai miei genitori, agli zii, a mio nonno. Io vivevo e loro mi osservavano. Ogni giorno sembrava facessi ai loro occhi qualcosa di straordinario. Anche quella cosa di crescere, di diventare grande: io crescevo e loro mi misuravano sull’oro del tavolo ed era sempre una meraviglia.
    – Mi stai dicendo che scrivi per essere ancora un lattante, un pisciasotto frignante? Ma quanti anni hai?
    – Quaranta.
    – E dici niente. Dimmi di quella faccenda che scrivere ti allontana dalle persone, ma guarda che se fai il tragico ti chiamo ancora cazzone!
    – Alle volte penso che scrivere mi porti via un sacco di tempo. Potrei andare a trovare mia madre e mio padre, telefonare a un amico, andare a trovare gli zii, giocare con i miei nipoti, fare l’amore con mia moglie. Vivere la vita vera insomma, e non approfittare di ogni momento libero per fare questo giochetto…
   – E allora non scrivere.
   – È da un po’ che cerco di smettere.
   – È proprio un vizio.
   – Un vizietto, sì. Quelle cose che si fanno di nascosto e da soli.
   – Però ti piace che tutti ti guardino. E questo si chiama esibizionismo.
   – Come uno che apre l’impermeabile e mostra tutto? Uno che si mostra nudo in mezzo alla gente vestita… potrebbe anche essere, mi piace.
   – Certo che c’hai una flemma. Ti si può dire tutto… Sarai mica uno di quelli superiori, che tutto gli scivola addosso?
   – Tutto, tranne cazzone.
   – Torniamo alla scrittura, cazz… d’accordo, niente cazzone. Senti un po’, dicevi che volevi fare una scrittura vera e contro la morte.
   – Ho detto così?
   – L’hai detto.
   – Contro la morte non c’è niente da fare, meno che meno scrivere. Forse è meglio essere prudenti in automobile e andare da un medico se non ci si sente bene.
   – E la scrittura vera?
   – Forse ho esagerato. La scrittura non è vera, vera come la vita intendo, è una finzione, una costruzione, una imitazione, una trasfigurazione...
   – Frena, frena.
   – Guarda che non ce l’hai tu l’acceleratore! E vai e frena. Sai una cosa? Scendi immediatamente dalla mia macchina!
   – Ma non siamo in macchina.
   – Si che lo siamo. Mi hai chiesto un passaggio, sei salito e mi rompi il cazzo. Mi chiedi perché vai di qua, perché vai di là, questa musica non mi piace, cambia stazione, c’hai gli emmepitrè? Sai che ti dico? Adesso scendi immediatamente!
   – Dai cazzone, non siamo in macchina. Te la sei inventata.
   – Mi sono inventato tutto, compreso te. E adesso scendi!
   – No! Ma allora io… io non esisto.
   – Esisti solo finché scrivo di te.
   – Oh, porca puttana. Pace?
   – Ma sì dai, pace.
   – Visto che siamo ancora amici, me lo dici perché scrivi?
   – Ma vaffanculo.